L’attimo sfuggente
Fissi l’attimo. Tutte le particelle dell’universo, innumerevoli ingorde luci di libellule nell’infinito, si fermano. La morte la odori. Ti sembra di averne già scoperto il mistero. La paura del blocco della memoria, della luce della televisione che si spegne, con quel bagliore istantaneo nel centro di pece nera. Il cuore è l’unico muscolo striato del tuo corpo ad essere indipendente. E tu questo lo sai. Cosa fai se decide di colpo di fermarsi?
Ti rendi conto da te di non essere pronto. Ed è il tempo di uno sbattito d’ali di colibrì, ma per te è lungo una vita intera; forse qualcosa che esiste e che può essere chiamato attimo. Semplicemente il presente…
Questo è l’inizio dell’amore. Ed in questo la chimica è importante. L’odore che secerne il tuo strato epiteliale. I liquidi saporiti della ghiandola gengivale. L’enzima fortunato che sta sinapticamente trasportando i suoi due occhi neri alla scatola nera che risiede da qualche parte all’interno del tuo karma. Centro dell’anima. Centro vitale. È fantasia del cuore. Ingenuo tu a non cogliere le prossime dodici mosse del tuo avversario di scacchi del destino.
Per quanto ricordi oggi quella fotografia potresti ridisegnarne la stanza, involucro di queste due bambole di raro artigianato. Sapresti fondere il terra di siena con l’ocra e un goccio aspro di bianco per riprodurre il colore delle pareti. Ovviamente tu a quella festa neanche ci volevi andare. Potresti autosuggestionarti che a farti alzare dal letto sia stata una forza soprannaturale.
Cosa succede quando si incontrano due particelle di atomi di polo inverso, fino ad allora obbedienti alle leggi fisiche, che si lanciano una contro l’altra alla velocità della vita? L’autodistruzione è miglioramento.
Ti presenti sciocco.
Quello è a malapena il tuo nome. Fai velocemente finta di dover svolgere nell’immediato futuro un ruolo fondamentale nella entità collettiva. Non sai neanche cosa hai appena detto. Cammini e la tua bocca aperta non lascia quasi intuire che tu sia capace di parlare. È il flusso di coscienza che ti sta bagnando e camminare con i vestiti zuppi non fa di te una gazzella.
Sbatti improvvisamente la testa nelle pareti della tua felicità repressa. Ed il frutto ne è un sorriso a te stesso. Hai tre minuti. In questi tre minuti dovrai terminare cinque importanti operazioni. Come luce danzante ti trasporti da una stanza all’altra, devi prendere giacca, borsa e chiavi della macchina, ma devi fare pipì. Ma quella decidi di trattenerla, saluti velocemente di sottecchi quattro pseudo-conoscenti. E non scordarti il cellulare. Ma lo scordi. Lei prende l’ascensore e non hai mai corso così.
Era arrivata con un’amica, totalmente diversa da lei, diverso lo stile, diversa la vita, diversi gli amori, diverse già le mille informazioni immagazzinate dai trip mentali della tua contorta testolina.
Poi non l’hai vista per quasi un’ora.
Cosa hai fatto in quell’ora? Hai parlato con chissà quante comparse.
Poi ne hai sentito il sapore. Ti sei girato e l’hai scorta con gli occhi. Ovviamente non c’era stato modo di inviare l’informazione vocale in stereofonia. Hai capito che sicuramente non voleva andare a quella festa, come neanche tu del resto. Capisci da lontano che un pugno teso con pollice e mignolo alzati e dipinti di smalto nero possano significare un “Non ti preoccupare, tu resta, io chiamo un taxi…”, ma se non è un taxi ed è un qualcuno? Sei già due piani sotto quando ci pensi, ne manca uno e scendendo gli ultimi gradini vedi aprirsi le porte, neanche un gabbiano atterrando rallenta con eleganza come tu in quel frangente.
– “Stai andando via anche tu?” esce probabilmente dalla bocca di qualcun altro, ma stringendo il cerchio forse è la tua.
– “Sono scesa a prendere il cellulare in macchina veramente… tu stai andando via?”, dice lei guardando le sue scarpe.
Il segreto fascino degli occhi bassi.
– “Guarda io devo prendere le sigarette al distributore, è qua dietro, se ti scorto alla macchina tu mi fai compagnia camminando?”, rispondi sbruffone, chiedendo qualcosa come fosse un ricambio di favore.
Una bugia bianca non ti manderà all’inferno. O almeno non questa.
– “Volentieri Fregoli.” E ti guarda negli occhi. E sa il tuo nome.
– “Del resto non ti sei neanche presentato, e a me non piacciono i ragazzi maleducati.”. E poi niente. Si è fermata anche la circolazione sanguigna. Quanto tempo è passato, un minuto? Quant’era una settimana, cos’è il tempo, quanti concetti di presente sono passati prima che lei abbia continuato sorridendo “Scherzavo!”.
Denti bianchi come la verginità della sua anima.
– “Ho sentito il tuo nome quando ti ha salutato Angelica, la mia amica” risponde lei alla domanda gridata dall’eco del silenzio.
– “Il mio nome è Emma”.
Ringrazi Dio per la mortalità concessati necessaria per questo avvenimento, ‘portami via ora’ implori all’apice del tuo essere.
Dipingi di quale colore questa tela del divenire? Le apri il portone e con un’ironica eleganza ti scusi in un francese teatralmente banale. Lei sorride di sottecchi passandoti vicino imitando il gesto dell’alzarsi la gonna e facendo baciare la sua spalla destra al suo mento di bianco avorio. Pelle di neve. Da maggiordomo che sei nel tuo prostrarti ridi a denti stretti. Già ti piace questa magia. Già escogiti qualche incantesimo, perché non puoi evitare di trasformare un evento del genere in qualcosa di fiabesco, è il tuo modo di regalarti emozioni perverse.
– “Lo sai di quale personaggio delle fiabe hai l’onore di portare il nome?” le dichiari porgendo il braccio come da galantuomo dell’ottocento inglese, la mano sinistra quasi si poggia su di un bastone immaginario.
– “Mi piacciono le storie” ti risponde mentre infila il suo braccio a formare una catena col tuo. Con la mano destra ti prende lo stesso braccio e si posa con la fronte sulla tua spalla. Ti è sembrato di veder cadere una lacrima. Fai finta di niente in paradiso.